Il messaggio della
        Famiglia Camilliana
                                                        di Csíkszereda

Anno VII, Numero 63, luglio 2003

La sindrome burnout

Meccanismo di difesa

Christina Maslach, che è stata tra i primi psicologi ad affrontare, in modo sistematico ed approfondito, lo studio del burnout, di questo tipo di stress, che nasce dall'interazione sociale fra aiutante e ricevente e dal coinvolgimento che fa parte integrante di questa relazione, ce lo descrive come una sindrome in cui c'è esaurimento emotivo, uno stile di relazione segnato da spersonalizzazione e un sentirsi non realizzati nel proprio lavoro. Sono queste le caratteristiche di questo fenomeno, ma anche i "passaggi" di un processo psicodinamico.

L'esaurimento emotivo è il punto di partenza: è una specie di svuotamento delle risorse emotive e personali e la conseguente sensazione che non si abbia più da offrire, a livello psicologico, agli latri.

Il sovraccarico emozionale e il conseguente esaurimento è il cuore della sindrome del burnout. E' il risultato di un coinvolgimento incontrollato e di una tensione emotiva insostenibile. L'individuo si sente sopraffatto, logorato ed esaurito; le sue risorse emotive sono diminuite e non ha dove rifornirsi. Il contatto continuo, cronico, con emozioni che bruciano e la tensione che deriva dal dovere sempre controllare le proprie parole e le proprie emozioni hanno finito per bruciarlo. Non ce la fa più a "darsi agli altri", per il semplice motivo che sente, più o meno consapevolmente, di non aver più niente da dare. Si sente emotivamente svuotato.

Per cavarsi da questo sovraccarico emotivo non resta che "tagliare" le relazioni e "sottrarsi al coinvolgimento con gli altri" Cercando di ridurre il contatto con gli assistiti al minimo indispensabile: meglio "incasellare" le persone in varie categorie e così rispondere a "categorie" piuttosto che agli individui. Il numero di letto o di tipo di malattia non hanno emozioni. Questo distacco mette un po' di distanza emotiva tra sé e la gente i cui bisogni e le cui domande sono sempre più insostenibili. E' un meccanismo di difesa, molto spesso al di fuori del controllo e della consapevolezza dell'interessato.

Con l'aumento del distacco si fa strada un atteggiamento di fredda indifferenza verso i bisogni e i sentimenti degli altri. Siamo ad uno stile relazionale improntato alla spersonalizzazione: un insieme di atteggiamenti negativi, di distacco, di "oggettivazione", di cinismo, di ostilità nei confronti della gente che si dovrebbe aiutare. Si può denigrarle, incolparle se le cose non vanno, rifiutare di essere educati nei loro confronti, ignorare le loro domande, o non fornire l'aiuto, la cura o il servizio appropriati. Aumentano i momenti in cui si desidera che la gente "se ne esca dalla propria vita". In alcuni casi gli altri vengono letteralmente "sbattuti fuori".

Paradossalmente la struttura stessa della relazione di aiuto favorisce e mantiene la visione negativa della gente: l'operatore sanitario deve focalizzarsi sempre sui lati deboli, sui problemi, sulle malattie, tenere in primo piano ciò che non va nella gente che assiste e tutto questo a lungo andare struttura un'immagine della gente in cui i lati negativi predominano ed invadono il campo. Mancano poi, molto spesso, feed-back positivi al lavoro che fa, specie se lavora con un certo tipo di malati.

La "s-personalizzazione" del malato da parte dell'operatore sanitario è anche conseguente alla "s-personalizzazione" dell'operatore da parte del malato. Purtroppo tale relazione s-personalizzata influisce tutto il reparto ma arriva anche fuori l'ospedale, nella società.

Ne consegue un sentimento di ridotta realizzazione lavorativa, di inadeguatezza al lavoro, e questo implica una messa in crisi della propria identità, che trova nella soddisfazione lavorativa validi supporti, una caduta dell'autostima e una perdita del desiderio di successo.

Ci si sente in colpa perché non si riesce ad aiutare gli altri, non si riesce a soddisfare quello che era l'ideale della propria vita ed il motivo per cui si è scelto quel lavoro. Ci si sente "falliti" e pian piano si fa strada la convinzione dello smarrimento della propria professione.

Con lo sbriciolarsi dell'autostima, la depressione prende piede. Alcuni cercano counselling o terapia credendo che i problemi siano di natura "personale". Altri arrivano a cercare un lavoro in cui non si abbia "a che fare con la gente", a fuggire nell'hobby, nell'alcool o nel dio-denaro. Altri semplicemente tirano a campare.

Superare l'aggressività con la cura pastorale

Nell'organizzazione della Società Interculturale della Cura Pastorale e della Relazione Pastorale di Aiuto (Society for Intercultural Pastoral Care and Counselling - SIPCC) di Düsseldorf è stato tenuto tra 16-20 giugno la conferenza con il tema Dov'è il tuo fratello nel Centro Di Diakonia Bethlen Kata di Kolozsvár/Cluj.

Il sottotitolo della conferenza era: Superare l'aggressività nella famiglia, nella chiesa, e nella società con la relazione e supervisione. Lo SIPCC è stato fondato nel 1995, in Germania, quale associazione legale, cui preside è Helmut Weiss, ha più di 140 membri in cca. 30 paesi.

Si radunano in ogni due anni, le persone che lavorano nella cura pastorale in tempo pieno. Lo scopo dell'attuale incontro è di conoscersi meglio, per comprendersi meglio, tuttavia conoscere la situazione delle chiese in minorità e di promuovere la comprensione reciproca.

La presidenza dello SIPCC mantiene i suoi contatti con il Consiglio Mondiale delle Chiese, con L'Associazione Mondiale della chiesa Luterana e Protestante (...).

Sono stati presenti e hanno presentato la loro relazione dr. Csiha Kálmán, il vescovo pensionato protestante della Transilvania, dr. Bakó Maria Hajnalka, assistente pastorale d'ospedale da Csíkszereda, Balázs Mónika, psicologa di Kolozsvár, Gyalay István, artista da Vienna. I moderatori dei verbali sono stati Kocsev Miklós, professore di teologia da Pápa/Ungheria, Szentpály-Juhász Imre, cappellano da Celldömök/Ungheria, Tóth János cappellano da Kecskemét/Ungheria e Martina Huth pastore da Karlsruhe/Germania.


Con affetto, Maria-Hajnalka Bakó, - 4 100 Miercurea-Ciuc, Str. Hunyadi János 45/A/27, Romania;

Tel/Fax: 0040 266 316-830 - 0040 721 088 154; E-mail: bakohajnalka@nextra.hu


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