Anno XV, nr.
159 – novembre 2011
Con un amico in meno sulla tera e con uno in più nei cieli
Nella nostra chiesa il mese di novembre viene dedicata ai nostri cari defunti, ci pensiamo a loro preghiamo per loro. Il giorno di Tutti i Santi festeggiamo anche ogni nostro „santo”, che non hanno trovato un giorno a parte nel calendario (il 13 novembre, gli ungheresi). Bel tradizione in quel giorno vestiti di festa, andare nel cimitero e soffermarci accanto le tombe ornate, accendere una candella, pregare, visitare le tombe dei nostri parenti, conoscenti, professori, amici, palrare con quelli delle altre famiglie, ricordare gli eventi belli comuni, celebrare la santa messa. Nei nostri cuori vivono con più freschezza i nostri modelli di vita e l’amore che ci ha collegato prima, non si è spento, è vivente. Per me, tale periodo è nello stesso tempo anche il rendeconto, perché si è formato il „secondo cerchio amicale” da coloro che l’hanno tralasciato la vita terrena e si sono trasferiti nel regno eterno.
La prima perdita mi è avvenuta all’elementare. Ero nel quinto quando ho dovuto cambiare scuola ed il nuovo ambiente mi ha posto davanti alle sfide, essendo la scuola lontana da casa e fuori i miei compagni avuti, praticamente non conscevo quasi nessuno. Qui mi ha apparso una gentile giovane, Brigitta, che era all’ultimo anno nella scuola. La sentivo quasi un’angelo custode che era presente là dove ci voleva e quando era bisogno di lei. Sua gentilezza mi faceva dimenticare le paure vere o immaginarie, mi dava forza e speranza che nel futuro anch’io sarò alunna più grande, che vivo sempre il periodo adatto della vita. Meravigliavo perché godevo di una così grande “privilegio”, era buono accrescermi sotto le ali di una più grande scolara durante un anno, soprattutto essendo troncata da una malattia di lunga degenza per me. Brigitta dopo un anno è andata in un’altra scuola in altra città per studiare infermeristica. Un giorno, come un fulmine veniva la notizia che si è deceduta. Tragicamente. Non l’ho creduto, mi sono resistita alla percezione. Sentivo un peso insopportabile: come si può? Era così gentile, proprio da amare... I suoi funerali mi hanno lasciato orme profondi, senza risposte. Io, che ero abituata al pensiero della morte, “andando spesso all’altro versante” sono rimasta perplessa davanti il suo morire. Una cosa però non è cambiato con la morte: l’amore che mi ha collegato con lei. Quello è rimasto intatto in continuare nella sua bellezza, amabilità e docilità originaria. Si sono messi insieme la realtà crudele e l’eredità spirituale straordinaria. Era difficile pensare che non ci incontreremo mai più, non posso chiedere più il suo consiglio, non posso portare un fiore quale segno di espressione del mio amore ed affezionamento... E’ rimasto vuoto quel posto nel mio cuore che era solo il suo, nessuno non l’ha occupato più. La situazione l’ha aggravato il fatto che nel giorno dei funerali, fino a quando sono arrivata a casa l’hanno avvelenato il mio cagnolino che compiva il ruolo di un quasi fratello. Vedevo ancora la sua agonia, senza poter salvarlo.
Ha dovuto passare tanto tempo fino a quando mi sono svegliata alla realtà dopo la perdita e sono riuscita mettere le cose al loro posto, ma il vuoto è rimasto. La vita andava avanti con una ferita al mio volto, che solo dopo tanti anni ha cominciato trovare significato. Le nuove perdite mi hanno aperto gli occhi che appartengo ad un processo nel quale il declino fa parte della vita, dove la risposta viene cercata altrove, non là dove io ho cercato. Bisognava crescermi ad essa. Ho dovuto capire che la morte è solo una parte della vita, l’altro lato si chiama resurrezione. La vita in corso mi dosava le perdite gradualmente. Pian piano potevo notare più “amici”, nel senso nobile di Cristo “all’altro lato” che accanto a me, inclusi anche i miei membri di famiglia passati nel frattempo. Così si è maturato il pensiero che potevo affermare nel passare di ogni mio buon amico: “Ho un amico di meno sulla terra e uno in più nei cieli”. Anzi, quest’esperienza mi ha insegnato che quando un “amico” stava già per partire potevo parlare con lui sul come del proseguimento. Era con qui, allegramente, abbiamo messo in rilievo la possibilità di una buona cena al futuro incontro, avendo conquistato la fiducia necessaria durante la vita ed avevo a chi offrire tutta la mia missione vocazional, e finore sento il suo aiuto. Sì, “l’unione dei Santi” si allarga con ogni persona in passare, lasciando il loro amore, e se ne approfitto, posso crescere ad essa, forse un giorno neanch’io lascerò il cuore vuoto a coloro che mi amano.
E’ deceduto il P. Paul Haschek, ex padre camilliano il 10 novembre 2011
Quale proseguimento della nostra riflessione di novembre, possiamo parlare sul Padre Paul Haschek. L’ho conosciuto a Roma insieme a Mariedl Pircher negli anni 90. Il Padre Angelo Brusco, Generale d’allora ci ha fatto conoscere nella prospettiva di un futuro comune. Già per la prima vista ero sorpresa vedendo due persone così straordinarie. Il Padre l’ha portata la fondatrice del Centro Ciechi San Raphaele di Bolzano a Roma e non solo, ma aveva cura di lei. Tale prendersi cura mi ha affascinato. Mai ho visto come si deve comportarsi con una non vedente, non avevo occasione. Ora mi sono meravigliata. Ho imparato le cose più importanti, partendo dalla sua guida perfino il servizio al tavolo, perché possa essere sé stessa in mezzo di una festa. Mi piaceva il modo come egli spiegava ogni cosa, disegnando nelle palme le cose più importanti. Sua mitezza, ecquilibrio mi ha incantato.
Abbiamo parlato ore interi in tre, egli era attento anche alle più piccole sfumature, mettendole alla prospettiva del futuro. Questo mi ha dato coraggio, ragione tra le sfide della vita. Già dal primo incontro ho sentito che non solo io, ma anche loro mi hanno accolto nei loro cuori e poteva dare inizio ad un percorso comune di vita nel quale possiamo animarci o sollevarci a vicenda secondo il caso.
Ho saputo dal Padre Generale che il P. Paul ha introdotto in Europa il modello della Famiglia Camilliana Laica, ancora durante il suo provinzialato austriaco. E’ rimasto impegnato di tale impresa per tutta la sua vita. Semplicemenete viveva la spiritualità di San Camillo, irradiando in ogni suo movimento, parola, pensiero. Era buono stare insieme. Ho imparato molto da lui. Testimoniava validamente lo spirito di San Camillo, dignità, diakonia. Parlava poco, più lavorava. Si alzava con un modo nobile celeste sopra le parole, sorridente, e si permetteva il lusso del servizio di carità celeste. Sì, il servizio di carità celeste, perché non era condotto dalle apparenze, egli curava le bellezze delle anime ed era felice se esse brillavano. Anche per me gioiva. Mi aiutava a vivere, liberamente, con chiarezza, come gli angeli. Non ho dovuto aver paura, perché serviva con amore il mio caso, futuro, presente. Sono riuscita ospitarli durante i nostri ritiri due volte. Per celebrare la messa abbiamo formato un’“altare vivente” sulla monte Harghita. Io ero una candelabre, gli altri con i loro compiti. La santa messa così era vivente, sperimentazione viva di Dio, giustificazione. Nel suo libro Kamillus lebt/Camillo vive, tradotto anche in italiano, ha reso presente questo ritiro, che mi ha offerto una prospettiva seria per il futuro, prima ancora dell’inizio del mio servizio nella pastorale della salute.
Qualche anno fa, si è ammalato improvvisamente. Si è troncato il lavoro intrapreso. Abbiamo sperato nella sua guarigione, ma purtroppo questo non è avvenuto. Il Centro Ciechi San Raphaele lo ha ospitato quale proprio malato fino la sua morte. L’hanno curato con lo stesso amore e premura con la quale egli si è comportato nei confronti dei suoi cari nonvedenti durante un lungo percorso della sua vita. Ha finito la vita terrena in mezzo a questa amorevole ambiente e se ne andata via sorridente, per poter incidere ancora più profondamente il suo amore nei cuori di quelli l’hanno conosciuto e l’hanno amato. Ringrazio di cuore il Dio Onnipotente per averlo conosciuto ed apprezzato.
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